Minigonna: storia della minigonna
La minigonna, corta, cortissima e spregiudicata: la storia rivoluzionaria della minigonna
Il capo simbolo della rivoluzione della moda del novecento, protagonista di mostre e dibattiti
Forza, coraggio, ironia, sensualità, irriverenza e spregiudicata ribellione ad un sistema: dieci centimetri sopra il ginocchio che hanno sfidato il mondo intero, proclamandola immortale icona della moda. Parliamo della minigonna, l’outfit che da oltre cinquanta anni racconta la storia di tutte le donne.
Era il 1963 quando la stilista londinese Mary Quant, conosciuta per il suo carattere esuberante, espose nella vetrina del Bazaar in Kings Road a Londra, la prima versione della minigonna. La storia da allora ci ha sempre raccontato questa versione, anche se molti dicono che quella stessa magia fatta stoffa, sia nata dall’inventiva di Andrè Courrèges, designer francese. In seguito alle numerose controversie circa i natali della miniskirt, qualche anno più tardi nel 1999, sarà la stessa Quant ad affermare: “né io, né Courrèges, abbiamo avuto l'idea della minigonna. È stata la strada ad inventarla.”
LA STORIA DELLA MINIGONNA
Mary Quant nasce nel 1934 in una piccola periferia londinese, Blackheath, da genitori di origini gallesi entrambi insegnanti e desiderosi di vedere in un futuro la propria figlia impegnata nel mondo della scuola. Non sarà così e la giovane stilista ben presto deciderà di vivere artisticamente alla giornata, accompagnata da Alexander Plunket Greene. I due, conosceranno in seguito il fotografo nonché ex avvocato Archie Mc Nair, con il quale apriranno la boutique Bazaar nel 1955. Le giovani donne londinesi avevano così finalmente trovato un punto di riferimento per i propri acquisti, grazie all’inventiva e alla perspicacia della stilista che aveva inventato la minigonna.
Eppure quella irriverente ragazza poco più che trentenne sarà l’ideatrice del concetto più rivoluzionario della moda del novecento. La stilista inglese interpretando le richieste del tempo, e scoprendo la giovane diciassettenne Leslie Hornby, detta Twiggy per la sua esile corporatura (fuscello in italiano), diede così vita alla miniskirt. Inizialmente le minigonne dovevano avere il solo scopo di scoprire appena di due pollici sopra il ginocchio le giovani londinesi, successivamente si giunse a quattro centimetri che decreteranno lo standard minimo per definire una gonna “mini”.
E del resto le donne in minigonna non erano altro che un riflesso dei tempi di allora, che da una moda decisamente meno disinibita e libera, stavano cedendo sempre più velocemente il passo alle nuove norme in termini di costumi e società. Era ormai passata l’epoca della gonna alla Coco Chanel, che a sua volta avevo stravolto il concetto di vestiario femminile, regalando alle donne una nuova sensualità ed eleganza. Ma quella gonna innovativa, lunga dopo il ginocchio ma simbolo di libertà ed eleganza, non bastava più alle nuove generazioni.
I Beatles, la minigonna, i Rolling Stones e ancora il riconoscimento dell’omosessualità nel 1967 in Inghilterra, portò così ad una rivoluzione sessuale dall’enorme portata sociale e culturale, proclamando gli anni sessanta capostipiti di un periodo di lotte per l’eliminazione del dislivello uomo- donna (culminato nel 1975 con l’approvazione dell'Equal Pay Act e del Sex Discrimination Act).
Che la sola Mary Quant o l’eventuale inventore della minigonna Andrè Courrèges, fossero riusciti nell’impresa di creare un outfit rivoluzionario, risulta quindi forse un estremo di una versione che già vedeva nelle strade di Londra la richiesta di realizzare una gonna che richiamasse uno stile più giovanile, tanto che le reazioni della Londra “bene” non si fecero attendere. E se nei salotti da tea inglese il commento era legato alla scelleratezza di quelle mini skirt, in alcuni paesi medio orientali ma anche negli stessi Stati Uniti, quest’ultima fu vista come simbolo di arretratezza del mondo occidentale.
GLI ANNI SESSANTA TRA ODIO E AMORE PER LA MINIGONNA
Particolare il caso dell’evasione fiscale legata alla minigonna: negli anni sessanta le prime miniskirt raggiungevano i ventiquattro pollici, ovvero circa sessantuno centimetri, ma con il passare degli anni e dell’avanzare della richiesta di maggiore stile, le lunghezze arrivarono ad una variabile compresa tra i tredici e i venti pollici, ovvero trentatré e cinquanta centimetri circa. Ciò prevedeva una esenzione dal pagamento delle tasse, dovuta al fatto che gli abiti per bambini non prevedessero il pagamento dell’imposta indiretta.
L’idea di creare delle gonne che avessero minor lunghezza e che dessero libertà alle gambe, non colpì il solo capo di vestiario in questione, ma anche gli abiti stessi. Nacquero così anche i minidress, particolarmente apprezzati dalle donne in rivolta. Nel 1968 non mancarono quindi esibizioni estreme di donne vestite di soli ampi pullover e collant o di miniabiti in grado di scoprire le gambe quanto più possibile. L’effetto della rivoluzione culturale e sessuale non si fece attendere ed un altro capo simbolo dell’integrità della donna, fino a quel momento, fu messo letteralmente al rogo: il reggiseno divenne così per molte donne un vero e proprio nemico, un demone da sconfiggere. Non mancarono quindi numerose scene di gruppi di manifestanti intente a bruciare reggiseni in pubblica piazza.
Commenti negativi sulla minigonna da parte di prestigiosi stilisti, inoltre, non tardarono ad arrivare. La stessa Coco Chanel inorridì davanti all’idea di una gonna corta, pur essendo stata lei stessa fautrice di un’altra rivoluzione del novecento in termini di moda. Dior riteneva inoltre le ginocchia la parte meno attraente del corpo, e la stessa Quant invece affermò che “una donna è giovane quanto le sue ginocchia”. Il dibattito era quindi forte e acceso.
Ma ciò non fermò l’inarrestabile avanzata del progresso culturale e sociale e la modella inglese che consacrò la minigonna, Twiggy, non dovette attendere troppo per essere notata. Nuova icona femminile, la modella inglese che indossò la miniskirt dettò subito legge in termini di canoni di bellezza, avanzando (forse negativamente si direbbe oggi) l’assoluta convinzione della perfezione legata alla magrezza delle modelle. Un dettame che si dimostrerà una piaga negativa del nostro tempo, ma che allora dovette apparire come un profondo cambiamento nei confronti degli stereotipi femminili.
L’estate del 1966 porta una ventata di giovinezza all’Italia: sarà proprio in questa stagione che le ragazze italiane indosseranno per la prima volta la minigonna. L’Italia diventa anch’essa così protagonista delle dinamiche di sfida e di emancipazione femminile, dettate dalla nuova frontiera della rivoluzione culturale internazionale. Le polemiche verso la miniskirt anche qui non mancarono, ma singolari furono le preoccupazioni: da estratti dell’epoca infatti, si riescono a interpretare non solo i giudizi negativi verso questi pochi centimetri di gamba scoperta sopra il ginocchio, ma anche e soprattutto la paura che tanta nudità potesse portare malanni alle giovani protagoniste del nuovo vestiario.
FIGLI DEI FIORI E MINIGONNE
Chiamata da molti semplicemente mini, ispirata dalla famosa automobile inglese, la miniskirt ebbe successivamente negli anni settanta ulteriore fortuna sfatando tutte le voci che continuano a darla per fenomeno passeggero. E proprio in questi anni le ragazze in minigonna continuarono a chiedere misure sempre più corte, arrivando ad un dietrofront, che vide così allungare nuovamente di qualche centimetro l’outfit.
Ciò avvenne perché se in un primo momento chi ha inventato la minigonna intendeva proclamare la libertà sessuale della donna, la parità di genere e l’indipendenza da stereotipi démodé, con l’avanzare della provocazione data dall’indossare le miniskirt, l’abuso dell’immagine della donna nella sua veste più strumentale e sessuale fece arrabbiare le femministe e indignare la società contemporanea, tanto da decidere di eliminare gradualmente quelle misure ritenute ormai un estremismo.
Eppure nacquero gli shorts, cortissimi pantaloncini solitamente fedeli alternative alle minigonne in jeans, simbolo della fine degli anni settanta prima e degli anni ottanta poi. Un periodo che non sarà mai più fiorente come quello degli anni sessanta, ma che vide profonde trasformazioni nei tessuti e nei colori della minigonna, che negli anni ottanta si prestò a stili diversi. Dalla minigonna codycross, alla minigonna in lana e dalle larghe forme, immaginata da Valentino come un’alternativa per le donne curvy.
ANNI OTTANTA, UN PASSO INDIETRO PER LA MINI
Un tentativo di divincolarsi da quella paralisi culturale che aveva legato la miniskirt alla modella inglese Twiggy e alla sua magrezza, che durò però ben poco. Gli anni ottanta infatti sono ricordati per la moda dell’aerobica e della rinascita dell’esercizio fisico. Ciò avvenne soprattutto in seguito alla evidente piaga del sovrappeso americano che richiese un’attenzione particolare verso la ripresa di diete sane e di attività fisica. La diffusione di collant e leggins non favorì quindi l’avanzare della minigonna, ma non sancì anche in questo caso la sua fine.
Perché se da un lato il mondo della moda di allora richiedeva un vestiario alternativo, dall’altra le minigonne in pajettes, o ancora le divise che prevedevano l’uso di vestiti sopra al ginocchio e di miniskirt, non fecero che alimentare una scelta settoriale per quella che i francesi chiamano mini jupe.
Ma se gli anni ottanta nella sfera occidentale videro un lento tramonto della minigonna, nella parte orientale dell’emisfero ed esattamente in Giappone, questa vide un discreto successo grazie ai numerosi anime e manga, animazioni e fumetti orientali, dove spesso le protagoniste erano rappresentate nell’immaginario “occidentalizzato” con occhi grandi e minigonne attillate. Simbolo di progresso e di provocazione, ma anche di sensualità. Stesse animazioni che poi arrivarono negli anni novanta ad una vasta diffusione anche in Europa, involontariamente rimarcando così l’eterno ritorno della mini in ogni sua versione, particolareggiando la minigonna scozzese per le storie spesso ambientate nei college nipponici.
GLI ANNI NOVANTA DELLA MINIGONNA
I mitici “novanta” sono però anche il trampolino di lancio di numerosi telefilm americani, che riportano al centro della scena l’immagine della donna in carriera, spesso in minigonna nera o blu, in completi da ufficio che fanno da base ad un’ambientazione carica di trame intricate e di amori indimenticabili. Un’annata che ancora una volta ribalta l’interpretazione del capo ideato alla stilista londinese Mary Quant.
Da iniziale rivoluzione in campo dell’indipendenza sessuale e dei diritti delle donne, a contestata esagerazione negli anni settanta, passando per la dolce cadenza negli anni ottanta, arrivando alla forza dirompente di un simbolo delle donne in carriera negli anni novanta, la minigonna segue così la repentina e mutevole trasformazione della società nell’arco di meno di quarant’anni, arrivando agli anni duemila. I primi dieci anni del terzo millennio sono così carichi di innovazione, tecnologia e trasformazione delle esigenze della popolazione.
Se negli anni sessanta il rock dei Beatles aveva portato all’esigenza del ballo e del movimento svolazzante delle miniskirt, il duemila chiede pantaloni dalla vita bassa, larghi e rigorosamente in jeans. Lo street style evidenzia l’esigenza dei giovani di raccontare la propria epoca attraverso il linguaggio del rap e le mini appaiono solo raramente sotto la forma di estrema ribellione, talvolta fino ad una misura minima di venti centimetri, vere e proprie “cinture”.
Un fenomeno parallelo attira però un’altra sfera della moda di quegli anni: le lolite, la moda gotica e metallizzata in qualche modo riportano alla luca la minigonna nella sua media lunghezza, con lo scopo di allettare l’immaginazione di una determinata porzione di utenti del web, strumento in quegli anni in crescita esponenziale ma anche di rimarcare generi musicali e letterari.
LA MINIGONNA E I SUOI DIRITTI
In termini di moda a partire dalla decade che stiamo vivendo oggi, la minigonna è un cult e un simbolo di assoluta libertà sessuale rivendicata anche con la nascita della giornata internazionale dedicata alla minigonna ed istituita il 6 giugno del 2015 da Ben Othman presidente di origini tunisine della Lega in difesa della laicità e della libertà e dalla femminista Najet Bayoudh.
La giornata mondiale della minigonna nasce infatti da uno spiacevole episodio vissuto da una ragazza algerina, cui fu vietato di sostenere gli esami di maturità a causa della sua gonna, ritenuta troppo corta. Da allora numerosi movimenti femministi hanno dichiarato l’assoluta necessità di sentirsi libere di indossare qualsiasi capo senza temere di essere giudicate, importunate o purtroppo talvolta oggetto di violenza.
Eva Ensler, drammaturga statunitense in una sua poesia sulla minigonna così si è espressa:
“La mia gonna corta è la mia sfida.
Non vi permetterò di farmi paura.
La mia gonna corta non è un’esibizione,
è ciò che sono | prima che mi obbligaste a nasconderlo
o a soffocarlo.
Fateci l’abitudine.
La mia gonna corta è felicità.
Mi sento in contatto con la terra.
Sono qui. Sono bella.
La mia gonna corta è una bandiera
di liberazione nell’esercito delle donne.”
E ancora circa citazioni sulla minigonna la stessa Ensler dice:
“La mia gonna corta
non è una supplica
non vi chiede
di essere strappata
o tirata su o giù.
La mia gonna corta
non è un motivo legittimo
per violentarmi
anche se prima lo era
è una tesi che non regge più
in tribunale.
La mia gonna corta, che voi ci crediate o no,
non ha niente a che fare con voi.”
LA MINIGONNA NEL 2020
Gli ultimi anni della minigonna e la sua età hanno infine fatto di questo capo un cult, uno dei simboli della moda del ventesimo secolo e per questo icona di stile e di gusto. Numerose sono le sue rivisitazioni ed interpretazioni. Un must have che ogni donna deve avere nel suo guardaroba e indossare almeno una volta nella vita.
L’inverno 2020 riporta sulle passerelle internazionali minigonne che evidenziano le gambe, ingentilite da ampi maglioni in lana, spesso nel tentativo di dare un gusto semplice ma effetto nude alle giovani protagoniste delle nuove mode di questi tempi.
Con un altissimo sex appeal le miniskirt si accompagnano a caldi capi coprenti come le calze, assolutamente scure, o ancora a tessuti particolari come quelli in similpelle, tornati prepotentemente di moda assieme al protagonista dell’anno: la stampa coccodrillo.
Minigonne in stile mock-crock, dai colori scuri o caldi, o ancora le particolarissime miniskirt quilted, adatte ad ogni occasione e situazione, fanno ad ormai cinquant’anni di distanza dalla sua creazione, della minigonna un best seller dell’armadio. E sono questi gli anni dell’apparente semplicità, dell’effetto nude e di una moda che non richiama alcun tipo di esagerazione nel vestiario ma bensì una essenzialità che non lascia però ampio spazio all’immaginazione.
Gambe scoperte, stivali alti, tacchi e completi fascianti e in grado di evidenziare il punto vita, sono solo alcuni dei punti forti della moda attuale. Un richiamo ad uno stile che invece al momento della creazione della mini voleva proprio sancire il distacco tra la moda delle signore londinesi della prima metà del novecento e le giovani ribelli, da cui nacque la prima versione dello “street style”.
Ma quali scarpe abbinare alla minigonna?
A seconda della tipologia di gamba di ogni donna, sono diverse le tipologie di scarpe abbinabili sotto una minigonna. Gli stivali cuissard ad esempio sono l’ideale per gambe lunghe ed affusolate, a seconda dell’altezza l’abbinamento del tacco può essere di pochi cm o più importante. Uno stile più casual riporta l’idea di poter abbinare alle minigonne sneakers di diverso colore, dal baffo o dal contorno acceso di colori cangianti. Dal fucsia al blu elettrico, passando per il verde acido, le sneakers conquistano molte donne ma per chi volesse un look classico ma casual, la scelta ricade certamente sulle stringate in stile vintage e sui classici mocassini. Il plus? Indossare sotto la minigonna calzini abbinati ai mocassini o comodi e colorati collant. Imperdibili infine i famosi ankle boots, nati quasi per accompagnarsi alle miniskirt.
LA MOSTRA SULLA MINIGONNA
Alla minigonna è stata dedicata anche una mostra al Victoria and Albert Museum di Londra, ad oggi in Cromwell Road e ancora in esposizione fino al febbraio 2020, narrante la vita e le vicissitudini dell’outfit e della sua creatrice Mary Quant con una esposizione di duecento minigonne e di tutti quegli accessori che l’hanno resa indimenticabile.
I duecento capi sono stati rintracciati a suon di hashtag dal titolo #wewantMary, chiedendo a chiunque avesse ancora una minigonna acquistata nel Bazaar in Kings Road a Londra di farsi avanti per organizzare una mostra interamente dedicata al capo icona del novecento. Ad affiancare le miniskirt anche oggetti cult come gli impermeabili e gli ankle boots. Un evento simbolo dell’inventiva e dell’intuizione sensibile di Mary Quant, oggi ultra ottantenne, che non ha mai smesso di lanciare tendenze e di difendere i diritti delle donne attraverso la promozione di una libertà nel vestire che mai nessuno prima di lei, aveva osato immaginare.
Necessariamente è storia ormai recente quella del mondo dei social, sempre attenti a rivangare costantemente l’attenzione sul soggettivo interesse dell’individuo verso la moda. Una macchia d’olio che Instagram conosce bene e che per questo permette alle giovani fashion victim di scoprire ed utilizzare al meglio influenze, mode e immagini. Il mondo della minigonna quindi non è mai stato così dibattuto, chiacchierato e approfondito. Online ogni possibile combinazione di tessuti, colori e materiali si riflette nelle idee degli utenti del web. E le case di moda, le grandi firme, non possono fare a meno di rivalutare ed esaltare la storia della mini più esplosiva di sempre, della piccola grande rivoluzione della moda del novecento. Ecco quindi che stagione dopo stagione, passerella dopo passerella, la miniskirt non ha smesso di incantare e provocare, accompagnandosi ad ogni tipo di stile ed epoca.
Il mito della moda inglese, in pieno sviluppo già negli anni sessanta, aveva suscitato un folle interesse da parte delle giovani inglesi, ma quelle stesse donne avevano chiesto a Mary Quant un nuovo modo di vivere il mondo e le attività dei giovani londinesi. Dal ballo scatenato del rock dei Beatles, passando per le nuove acconciature, finendo poi alla vita dinamica e in costante movimento, ben diversa da quella delle donne inglesi ormai adulte e legate ad uno stile di vita più chiuso e sedentario: la minigonna aveva già rivoluzionato un’intera generazione e non lo sapeva ancora.
Il mito era appena iniziato e non sarebbe più finito.
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